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ARTICOLO  TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 16/03/2012 - Kos, la strage che nessuno vuole ricordare

 

Il libro e la memoria
Kos, la strage che nessuno vuole ricordare
 


Una pagina di storia di cui non è ancora possibile leggere ogni singola parola. Sebbene siano passati quasi 70 anni. Un tragico eccidio quello dei 103 ufficiali italiani del 10° Reggimento Regina, fucilati sull’isola greca di Kos nel 1943; una «vergogna» che commuove e indigna è il toccare con mano che quel sacrificio, il sangue versato da giovani che per la stragrande maggioranza non avevano ancora compiuto i 29 anni, è ignorato dal Paese che difesero fino alla morte rifiutandosi di passare con il nemico, per il giuramento d’onore fatto alla loro bandiera. E si è commosso anche mercoledì sera, a Graffignana, il colonnello Pietro Giovanni Liuzzi, autore del volume Kos, una tragedia dimenticata, ospite del circolo culturale “La Certosa” guidato da Giuseppe Mazzara. In platea anche lo storico Angelo Stroppa e il presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Lodi, Otello Bosio, oltre al sindaco di Graffignana Marco Ravera. Una serata voluta «non certo per presentare un libro - ha chiarito lui - , ma per raccontarvi una storia, quella che mi ha fatto diventare scrittore per rabbia». Quella che riporta indietro l’orologio del tempo fino al 5 ottobre del 1943, ad una notte di sangue in cui, su una perla dell’Egeo, lunga 40 chilometri e larga 5, gli italiani, mal supportati dall’esercito britannico di Churchill, che voleva conquistarsi un avamposto nel Dodecaneso come base strategica per l’aviazione (sicuramente più vicina del Cairo e di Cipro per colpire i Balcani), hanno affrontato l’assalto della 22esima Divisione tedesca del generale Muller. Il confronto è di quelli che non poteva lasciare scampo: superiori in numero e in armamenti, supportati dall’aviazione e equipaggiati con mitragliatrici da 1.200 colpi, contro i 400 della Breda italiana del 1937, i tedeschi fanno prigionieri 3mila italiani e 900 britannici, tutti stipati nel palazzo del Governatorato. Molti finiscono in Germania, per 103 ufficiali dei 148 presenti, quasi tutti laureati o laureandi (84 di loro non avevano compiuto ancora i 29 anni) il destino è la fucilazione. I loro corpi finiscono in fosse comuni, 11 secondo le testimonianze dirette, solo 8 però sono state individuate. E di 37 corpi ancora non si è trovata traccia. «Il sindaco di Kos ha però autorizzato una nuova indagine del terreno per trovare le fosse che mancano all’appello» ha spiegato il colonnello Liuzzi che ha poi raccontato alcuni dei risultati di questa ricerca. In primis l’incontro con lo studioso graffignanino Antonio Cardinale, che proprio in quel campo aveva messo una targa a memoria dell’eccidio (di cui è rimasto vittima anche lo zio, il tenente Vincenzo Cardinale) e che ha collaborato con il colonnello. O ancora l’incontro tra il figlio italiano di uno di quegli ufficiali e la sorella greca, avvenuto l’anno scorso grazie a questo libro. Nella popolazione di Kos, che nel 2013 festeggerà a memoria di quella tragedia, l’anno della cultura italiana, e si sta pensando alla creazione di due musei, una legato all’architettura italiana, l’altro ai cimeli della seconda guerra mondiale, il ricordo degli italiani non è quello legato all’immagine degli invasori. A dirlo è l’esperienza della «signora Elena, figlia di un pescatore che ha aiutato molti italiani a fuggire e che oggi ogni mattina si prende cura del cimitero senza che sia pagata da nessuno» ha raccontato ancora il colonnello o ancora una delle targhe che ricordano la strage. E in cui si legge che «non c’è stata alcuna azione italiana che abbia dato un senso alla morte di tutti quegli uomini», ha ricordato ancora l’autore. In Italia, però, di quella tragedia non ha mai parlato nessuno. Quegli uomini sono morti in una notte calda e silenziosa e la loro memoria è ancora avvolta nel silenzio.

 

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