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ARTICOLO  TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 14/04/2012 - Tra le colline la “nursery” dei fagiani



Tra le colline la “nursery” dei fagiani
Il sorprendente allevamento dell’azienda Belloni di Graffignana
 

 

La vita va così. È un pomeriggio di ampie luci primaverili, quando con il mio amico Giacomo Rossi scendiamo dalle colline di Graffignana - siamo stati ospiti di Giacomo Belloni, in località Villa Petrarca - e all’interno dell’automobile plana il silenzio più radicale.caccia o non cacciaSono in fase di riflessione e non ammetto intrusioni di sorta. Sto riflettendo sulle proposte di un’azienda agricola, che ha come attività fondamentale l’allevamento di fagiani: ne transitano sessantamila l’anno, buona parte – oltre che a Graffignana - collocati nelle ampie voliere della cascina Pistoia di Santa Cristina e Bissone. I fagianini li vedo correre - sono arrivati giusto ieri, ed hanno un solo giorno di vita – all’interno dei capannoni della corte: facile prenderne uno in mano, e passargli delicatamente un polpastrello sopra il capo. Tra qualche mese questi selvatici sfideranno il destino, assegnati a riserve di caccia ed enti venatori: sarà difficile sfuggire alle doppiette degli appassionati.Qui m’interrogo lungamente: sono a favore o contro la caccia? Inutile parlarne con Rossi: so come la pensa lui. Ed a me non c’è opinione di altri che possa ritornare utile. Devo decidere per me stesso, da solo.Ci rifletto da tempo, da quando un amico m’invitò ad una battuta di caccia - si era vicino a Lodi - e finchè non si trattò di andare a fare una strage di volatili trovai tutto affascinante: la tenuta all’antica, il cuoco per gli ospiti, una riserva a perdita d’occhio, i vezzi di chi indossava gli abiti d’ordinanza come dovesse affrontare la giungla. Poi si cominciò a sparare: ogni dieci passi veniva individuato un fagiano, sembrava di essere in un lunapark, solo che gli animali erano veri e non di latta. Provai una tristezza infinita. Per l’uomo, non per gli animali.Al tempo stesso non mi va di fare l’integralista: mi piacciono i cibi, e l’idea di risparmiare la vita ad un fagiano mal si concilia con un bel piatto di polenta e capriolo, pazienza per quel bell’esemplare di montagna, ma la vita va così. Allora, trovo riparo - perbenista ed ipocrita, lo so da me - grazie alle regole venatorie, al diritto al ripopolamento, ai divieti su cacciatori illegali e pescatori di frodo.Inoltre una volta mi capitò d’imbattermi in un paio di ragazze, vegetariane e contro tutti coloro che si cibavano di carne animale, prosciutto o bistecca che fosse: subii un processo tremendo, di una violenza morale e lessicale da rabbrividire. Se avevo dei dubbi, mi ritrovai, dopo quella discussione, assolutamente tollerante e ben disposto verso i cacciatori: ciascuno si nutra come vuole, evitando di eserciate giudizi morali.Davvero, non so dirmi se favorevole o contrario. Rinvio la decisione: ma se mi si chiede e sono costretto a rispondere, ebbene, sono contro la caccia. Non sparerei mai su un coniglietto o un leprotto o un cerbiattino, protagonisti di infinite storie e racconti a mia figlia quand’era piccina. Ma visto che la caccia c’è a prescindere che io imbracci o meno un fucile, sono anche tra i primi a sedermi a tavola e a gustare le pietanze più succulente a base animale. Ed ho chiuso il cerchio.Così, qui a Villa Petrarca, lascio scivolare il minuscolo fagianino dalla mia mano, e mentre vedo che zampetta e si perde fra le altre migliaia, mi faccio raccontare da Giacomo Belloni la storia della sua singolare azienda agricola.nonno giacomoI Belloni sono a Graffignana da molti anni. A giungervi fu un altro Giacomo, il nonno del nostro testimone, uomo della fine dell’Ottocento; egli possedeva un pezzetto di terra, tre quarti a vigneto ed il rimanente ad orto, ed aveva una mezza dozzina di bovine. Tutto ciò che produceva serviva al fabbisogno famigliare, visto che dalla moglie aveva avuto sei figli. Nonno Giacomo era un tipo alla buona, che sgobbava dalla mattina alla sera. Ma su un giorno non transigeva: la domenica doveva essere di tutto riposo; accompagnata la moglie a messa, aspettava il mezzodì per un veloce pasto e poi si recava in osteria per trascorrere un pomeriggio di chiacchiere con gli altri amici agricoltori.Dei suoi ragazzi, in due scelsero di continuare nel ramo agricolo: Giovanni, nato nel 1935, e Carlo, del ’39. Fu a loro che venne l’idea di realizzare un allevamento di fagiani a ciclo chiuso: vale a dire con la scelta degli animali riproduttori, maschi e femmine, che dovevano garantire i parti di migliaia e migliaia di nascituri.Ogni singolo maschio aveva sette femmine da accoppiare. Quotidianamente venivano raccolte dalle cinquecento alle seicento uova al giorno. Per un periodo di novanta giorni: dunque, 60mila uova al trimestre, più o meno. I fratelli Belloni non stavano certamente ad osservare: ogni singolo uovo andava raccolto, a mano, e lavato con un apposito disinfettante. Dopodichè andava messo nell’incubatrice per una durata di ventisei giorni. Una volta schiuse le uova, i pulcini di fagiano venivano tenuti in allevamento da novanta a centoventi giorni. È intorno al quarto mese e mezzo che Giovanni e Carlo individuavano i nuovi riproduttori, e mai che sbagliassero la scelta.L’allevamento dei Belloni si svuotava nella seconda metà di dicembre, seguendo il calendario della caccia, che va da settembre alla fine di gennaio.dal padre al figlioAgli inizi degli anni Ottanta, Carlo Belloni si ammalò, e così per non affaticarlo eccessivamente, gli si affiancò sul lavoro il figlio Giacomo, testimone di questa pagina odierna. Purtroppo suo padre non si riprese, lasciandolo così orfano quando lui aveva da poco compiuto i sedici anni: decise allora di proseguire l’impegno agricolo dando continuità agli sforzi ed ai progetti paterni; nello zio Giovanni trovò un vero maestro, apprendendo da lui i segreti del mestiere, e passando sopra alle sfuriate che di tanto in tanto riceveva, quando lo zio non vedeva eseguiti alla lettera i propri ordini: capiva che quei rimproveri erano dettati dall’affetto e dal desiderio di fare di quel nipote un allevatore eccellente.Tanto che lo zio Giovanni, gradualmente, lo delegò in tutto. Giacomo Belloni per molto tempo ha mantenuto nella propria azienda agricola gli equilibri e gli orientamenti del passato: come se, cambiandoli, avesse il timore di fare torto al ricordo del padre e dello zio. E solo tre anni fa ha deciso un nuovo corso: ha scelto che non era più tempo di proseguire con l’allevamento a ciclo chiuso, ed ha così eliminato la fase di scelta dei riproduttori e degli accoppiamenti. Ciò anche per diminuire i costi di gestione relativi al mantenimento delle incubatrici e al riscaldamento dei capannoni, visto che adesso giungono quindicimila pulcini in un colpo solo, mentre prima ne nascevano cinquemila la settimana.Eliminata la fatica di lavare una ad una le uova, se ne sono mantenute molte altre: ad esempio, ad ogni fagiano, giunto ai quaranta giorni, va posto una specie di occhialino sul beccuccio. Annualmente a sessantamila fagiani deve essere collocato sul becco questo aggeggio, prodotto esclusivamente da una ditta vicentina: la Saviplast di Lovigo.Questi sovrabecchi sono essenziali affinchè i fagiani evitino tra loro forme di cannibalismo: essi, infatti, sono lasciati liberi di beccare il terreno, e così di nutrirsi, ma non di ferirsi vicendevolmente con conseguenze mortali.le voliere pavesiA Santa Cristina e Bissone, nella cascina Pistoia, Giacomo Belloni ha a disposizione 60 pertiche per le voliere. Queste strutture vantano 120 metri di lunghezze, 30 di larghezza e 7 di altezza. I terreni interni alle voliere sono seminati col mais e con il sorgo, così da abituare gli animali alle intemperie naturali, all’habitat faunistico che troveranno nelle riserve, ed ovviamente ad ingrassare. Quando gli enti venatori richiedono i fagiani, essi vengono catturati uno ad uno, viene tolto loro il sovrabecco, e infilati nelle ceste raggiungono le destinazioni indicate: Giacomo viene aiutato nell’attività dalla moglie Manuela.Sapere che il fagiano, allevato con mille premure, viene avviato ad un destino che gli si rivelerà fatale, mi rende il cuore piccolo piccolo: allora Giacomo Belloni, forse per consolarmi, mi racconta che se il fagiano è furbo (o solo fortunato) riesce a resistere in una riserva sino a cinque anni.Egli stesso è direttore di una riserva di caccia sita all’interno di un variegato territorio, tra Graffignana, Sant’Angelo Lodigiano, Monteleone e Miradolo per un’ampiezza di 950 ettari. Giacomo gestisce quest’ampia riserva, ne cura i terreni, verifica gli accessi dei soci. Conosce bene quante polemiche suscita il tema della caccia, ma riconosce che, mentre la crisi economica ha travolto interi comparti agricoli ed imprenditoriali, questo particolare settore garantisce lavoro almeno ad un milione di persone. Così stiliamo un elenco di attività che afferiscono alla caccia: intanto, le aziende di mangimi per animali; poi, le armerie; quindi gli allevamenti per i cani segugi, con relativi istruttori; ancora, il settore tessile, visto che i cacciatori amano vestirsi di tutto punto con giubbe ricche di tasche e guarnizioni d’accompagnamento; quindi, il settore manifatturiero, con costruzioni di gabbie, gabbiette, trappole e reti; irrinunciabili le leggendarie figure dei guardiacaccia. E di tutti gli addetti che operano, a vario titolo, nelle riserve. L’elenco potrebbe continuare, ma non è questo il tema di fondo tra chi può dirsi o meno favorevole alla caccia.Giacomo Belloni ammette che il suo lavoro gli consente dignitosamente di vivere: è quello ereditato dai suoi avi, e lui lo ha portata avanti con grande passione. Ha avuto un momento di sconforto nell’anno 2000 quando una cappa del riscaldamento si è incendiata e un capannone ha preso fuoco, uccidendogli tutti i riproduttori ed oltre quattromila fagianini. È un episodio che ancora gli fa montare una fortissima rabbia. Ma, al di là delle soddisfazioni, non solo economiche, perché è gratificante quando le riserve chiedono per la qualità dei fagiani allevati, Giacomo Belloni sa bene di gestire un mestiere che è perennemente a rischio di referendum, e che oggi va bene, mentre domani dipende come tira il vento, soprattutto quello sociale. Saluto le migliaia di fagianini, voltando loro le spalle. La vita va così.Eugenio Lombardo

 

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