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ARTICOLO TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 20/11/2012 - Un impegno a tutto campo sul fronte dei bisogni, a partire da Alfaomega
 

le interviste di luigi albertini - 76 Il futuro del nostro territorio letto da coloro che ne sono i protagonisti
Marilena, signora della solidarietà
Un impegno a tutto campo sul fronte dei bisogni, a partire da Alfaomega

 

In altri tempi l’avrebbero chiamata la “damigella della carità”, ma oggi è di moda il sano pragmatismo ed allora noi la battezziamo la “signora della solidarietà”. Una solidarietà a tutto campo, addirittura a tinte internazionali, giusto il concetto moderno che parla di “globalizzazione”. Marilena Seminari ci concede l’intervista, pensate, il giorno prima di partire in aereo per una delle sue tappe mondiali, questa volta in Bolivia, a Cochabamba, dove Alfa Omega ha edificato, con altri, una moderna scuola dell’obbligo (e parlare di obbligo da quelle parti è un po’ forte, ma necessario). Per nulla intimorita dal programma di volo con tre distinti scali («ma è il modo più breve per arrivarci», ci confiderà), rifiuta il rinvio della chiacchierata, «tanto non mi disturba il pensiero di prendere l’aereo perché ho già tutto in mente su cosa devo fare: mi fermerò laggiù un mese circa perché a novembre devo andare in Africa». Ma chi è questa signora di Casalpusterlengo votata da sempre ad aiutare il prossimo in difficoltà? E per “prossimo” non intendiamo solo il vicino di casa, supposto che sia in difficoltà, ma addirittura chi reclama aiuti dal mondo intero. Casalina tutta d’un pezzo, che ama intercalare la lingua italiana dal saporito dialetto della sua città, ha sempre avuto una sorta di venerazione per soccorrere chi ha bisogno, anzi una vocazione totale, la ragione della sua vita. Lavorava alla Saffa di Casalpusterlengo, ora è in pensione (si fa per dire...), tanto da dedicare tutto il suo tempo ad Alfa Omega di Graffignana, la comunità per il recupero degli emarginati di cui è direttrice ed operatrice tuttofare. Marilena, vogliamo svelare come è nata questa voglia di solidarietà?«La prego di non farla tanto lunga, ne difficile: nasce dal fascino che ho sempre nutrito verso le persone che amavano donarsi agli altri in maniera disinteressata, per il solo gusto di dare una mano. Ho cercato di capire il senso di questo comportamento e, più crescevo in parrocchia ai Cappuccini di Casale e più aumentava la voglia di donare agli altri, ma sempre a livello di rione. In un certo senso, si tratta di una sfida con se stessi. Negli Anni Ottanta la figura del tossico mi creava un disagio profondo ed è proprio nei suoi confronti che ho subito riversato la mia attenzione, una sfida che mi è costata tempo ed anche sofferenza. Poi ho saputo che a Graffignana Pal Consoli, il responsabile di Alfa Omega, cercava volontari e mi sono fatta avanti. Quindi, per riepilogare, le prime esperienze le ho vissute in parrocchia ai Cappuccini, religiosi che sono davvero dei maestri di vita, poi è nata la battaglia, perché di battaglia si è trattato, con Alfa Omega, nella cui esperienza mi sono buttata anima e corpo. Diciamo che risale al 1987 il mio impegno con “Pal”, poi lui è morto nel 2000, ed è sepolto proprio al cimitero di Graffignana, qui davanti alla comunità che dirigeva. Quindi, va da se che l’incarico di responsabile mi venisse affidato, ma tornando indietro un passo devo ricordare che la vocazione del servizio, già al tempo in cui lavoravo alla Saffa e che mi impegnavo nel sindacato della Cisl (pensi che ho fatto persino la consigliere comunale con Cesarino Bertoglio sindaco: lui oggi è presidente della Associazione Disabili e sta lavorando alla grande), mi ha sempre accompagnato: devo dire che l’impegno lo sento vivo in me, è una sorta di vocazione, che conta è impegnarsi per gli altri come concetto di vita».Vogliamo parlare di Alfa Omega?«Volentieri, ma con un prologo. Il 7 febbraio 1984 nasce la comunità di Vigna Nuova, fondatori Giancarlo Tornielli, Gino Daccò, Paolo Cremascoli, Gian Battista Cambielli e Bruno De Pascale. Nel 1985 entra anche Guido Ermete, dirigente della Sea, che ne diventa direttore (purtroppo è scomparso) e nel 1985 giunge invece da Milano Pal Consoli, già attivo nella metropoli nella lotta contro la droga: fortemente motivato per la scomparsa di un figlio per overdose, l’agente immobiliare si è deciso di prendere in mano Vigna nuova con l’intento di realizzare una struttura ex novo del tipo di quella di Muccioli a San Patrignano. Infatti, nel 1993 la struttura viene inaugurata a Graffignana: nella primavera c’è l’inaugurazione presenti Muccioli, don Mazzi, Maria Pia Garavaglia che era ministro della sanità. Purtroppo, mentre si costruisce la struttura di Graffignana, entra in vigore la norma che vuole le comunità aperte a non più di venti ospiti, mentre Alfa Omega l’aveva progettata per un numero ben maggiore. Il 27 maggio 2000 muore Pal ed io sono subentrata, gestendo una realtà che doveva fare i conti, nel senso economico del termine, con il fatto della sua grandezza e del numero ridotto di ospiti. Entrarono in funzione il laboratorio di vetrate artistiche, che serve soprattutto alla formazione di lavoro per gli ospiti, ed il laboratorio di falegnameria, con commesse per lavorare in ergoterapia, ma quest’ultima struttura è praticamente bloccata».Quindi, la gestione economica ha dovuto fare i conti con una realtà completamente modificata a livello di struttura.«Proprio così: i contributi per le “degenze”, chiamiamole così, sono diminuiti, ma i costi di ammortamento dell’investimento erano sempre alti. Così la Cooperativa Lavoranti Muratori di Reggio Emilia, che l’aveva costruita, chiese di metterla all’asta. Nel 2004, dopo tante procedure legali, la soluzione con l’intervento della Banca Popolare di Lodi che ha motivato il suo interesse “per un forte motivo sociale”, concedendoci la struttura in comodato d’uso. Ed eccoci qui sani e salvi per continuare il nostro lavoro. Una interessante avventura, non le pare?».Ed allora focalizziamo il senso del vostro lavoro nella comunità.«Alfa Omega, la comunità che rappresento, ha lo scopo di aiutare e sostenere persone in difficoltà con problemi legati alle varie dipendenze più che mai presenti nella nostra società, vale a dire droghe, alcol, gioco d’azzardo e via elencando. Guardi che i poveri di oggi non sono solo quelli legati al dato economico: oggi c’è una marginalità sociale che sfocia nelle devianze, una povertà che porta in se la vocazione a non essere vista e paradossalmente c’è una povertà oggi molto ben vestita e dignitosa. Ecco allora la necessità di sostenere chi arriva anche a perdere il senso della sua esistenza. La comunità non è soltanto strumento per il recupero delle devianze sociali, ma è anche proposta per la continuità a vivere i valori riscoperti e, ogni giorno, nel suo programma educativo compie, si potrebbe dire, dei veri e propri investimenti attraverso le risorse individuali per una crescita personale perché vuole accompagnare la persona a fare un bilancio della propria storia ed andare verso nuovi obiettivi. Sono convinta che forti gesti di solidarietà ci riconciliano con il mondo di oggi poiché poiché fa pensare che non esiste in assoluto, come spesso si sente dire negli stereotipi comuni, un mondo da demonizzare, ma evidenzia che quando la società esprime gesti di solidarietà concreti e significativi, compie una grande opera di “restauro umano” e crea le condizioni per costruire una società alternativa di cui oggi si ha tanto bisogno. Soprattutto momenti come questo ci portano a riflettere, in uno scenario mondiale tormentato come quello di oggi, che anche laddove sembra che tutto sia perduto, si possa tornare a sperare nel futuro per una vera rinascita. Ritiene che sono stata prolissa?».Per carità, niente affatto: è stata di una chiarezza esemplare. Al punto che le chiediamo di proseguire con le possibili novità.«In effetti da vario tempo si è pensato di allargare gli interventi, in particolare sostenere iniziative, ad esempio, dedicate ai bambini poveri e poiché da subito si sono verificate tante difficoltà, sia economiche che normative per la realizzazione di una struttura specifica sul nostro territorio, si è pensato di intervenire nei Paesi in cui la povertà è molto presente e nello specifico, per una serie di circostanze, ci siamo interessati ai bambini poveri della Bolivia dove siamo riusciti a realizzare un progetto con tali caratteristiche. Si tratta di un centro polifunzionale diurno in grado di accogliere e dare assistenza ai bambini che sono denutriti, anemici, ed offrire loro delle attività educative. Un luogo, insomma, dove possano avere almeno un pasto dignitoso al giorno. Mi riferisco alla splendida esperienza di Cochabamba, dove appunto sto per partire per fare il punto della situazione, visto che la scuola funziona ormai a pieno regime. Se mi consente un piccolo sentimento personale, vorrei svelare di aver dedicato questo gesto boliviano a mamma Irma e papà Mario, quest’ultimo morto da non molto, i quali durante la loro vita mi hanno insegnato quanto sia importante dedicarsi al prossimo».Piccolo sentimento assolutamente legittimo. Ci racconti come si è sviluppato il progetto.«Siamo nel dipartimento di Cochabamba, nella città omonima. Abbiamo scelto un quartiere molto povebri grazie alla disponibilità della “Casa dos los Ninos”, che ospita bambini con difficoltà, poveri ed orfani. Una esperienza molto forte ed importante. Nel centro, che abbiamo realizzato compiutamente, intendiamo svolgere, accanto all’insegnamento didattico, anche servizi sociali importanti quali l’alimentazione e l’assistenza sanitaria. Mi permetto di dire che lo stile dell’insegnamento ricorda un po’ quello della scuola di don Milani. Si tratta di un plesso che ospita fino alle medie, con circa 150 alunni, operativa insieme alla “Casa don los Ninos”: Il villaggio è praticamente di quest’ultimo ente, noi seguiamo la gestione completa, una esperienza che matura il terzo anno e che sta andando piuttosto bene, anche se in America Latina, lo sappiamo tutti, non ci sono mai certezze, ma soltanto delle solide speranze e con quelle continuiamo a convivere. La struttura comunque è nostra, cioè dell’ente Alfa Omega operante in Bolivia. Posso svelare che con la parrocchia casalese di San Bartolomeo, grazie alla sensibilità del parroco appena trasferito, don Franco Anelli, ci siamo attivati per realizzare una chiesetta nel villaggio».Lei parte per Cochabamba al fine di fare le necessarie verifiche del progetto ormai in piena attività.«Diciamo che è così. Nello specifico dobbiamo mettere a punto un ambulatorio sanitario in piena regola, per mettere in funzione il quale, mi creda, ci vogliono mille pratiche burocratiche, ma noi siamo caparbi e riusciremo a fare anche questo. Attenzione: tutto ciò resterà ai poveri boliviani, non è nostro. E’ questo il criterio che ci spinge a fare la solidarietà, chiamando i locali alla compartecipazione gestionale, un criterio che riteniamo del tutto normale e positivo. Glielo dicevo prima: si tratta di una esperienza molto forte e significativa, una di quelle progettazioni che portano ad avere il conforto della crescita umana, quindi civile, scolastica, sanitaria e quant’altro vuole metterci insieme. Francamente, mi sento molto gratificata, a dispetto dei mille sacrifici che abbiamo affrontato, delle gigantesche difficoltà, ma devo dire anche delle straordinarie disponibilità di tanti enti e di tantissime persone anche qui in Italia».Marilena, possiamo parlare di quell’altro progetto di tutto respiro che avete in mente per la Costa d’Avorio?«Direi proprio di si. Siamo a Blolequin, a 700 chilometri dalla capitale Abidjan: in pratica, nella foresta nera al confine con la Liberia. L’idea iniziale era per realizzare un Reparto Maternità insieme alla associazione Mudessa, dunque un progetto integrato. E Mudessa, che è un ente ivoriano, ci ha concesso il terreno per edificare la struttura. Eravamo arrivati quasi al tetto, ma poi ci siamo fermati per colpa della situazione politica che si sta attraversando in quel Paese. A novembre, quando rientro da Cochabamba, riparto e vado a Blolequin per riprendere i contatti e rilanciare le nostre intenzioni, verificando nel contempo gli avvenimenti interni. L’intenzione è quella di fare un servizio, anche qui, davvero innovativo, capace di dare sostanza alla dignità dei popoli della foresta. Avremo modo, io credo, di convocare i capi villaggio per mettere a punto le necessità più impellenti e quindi stabilire, nel prosieguo dei lavori, quale destinazione dare in concreto al servizio. Questo è importante perché ci consente di verificare se le nostre intenzioni iniziali corrispondono ancora alle necessità del momento. Noi operiamo in maniera condivisa, ecco perché si lavora con Mudessa, che è espressione tipicamente ivoriana».Può svelarci come riesce ad avere finanziamenti per questi esemplari progetti?«Fossi una religiosa le direi: la provvidenza. Da laica le rispondo dicendo che, a fronte di tante storture, esistono anche geniali lampi di solidarietà da parte di molta gente, amici generosi che apprezzano questo nostro modo di agire per aiutare il prossimo. Gente che ci stima e che ci vuole bene, del resto noi operiamo in assoluta trasparenza. Certo, abbiamo bisogno di questi aiuti e più ne vengono meglio è per la nostra azione. Trasparenza, le dicevo: pensi che io stessa, direttrice, ho tantissimi scrupoli per le spese: non prendo un euro, uso la mia macchina personale, faccio di tutto per dare l’esempio. Guardi che non sono sacrifici; è una testimonianza e la gente si fida di noi, quindi ci aiuta nei nostri progetti».Siamo partiti da Graffignana per arrivare a Cochabamba ed a Blolequin, in Costa d’Avorio. La prossima tappa?«Meglio non precorrere i tempi perché vorremmo da un lato consolidare l’esperienza boliviana, che si sta confermando pienamente aderente ai nostri propositi umanitari, e dall’altro concretizzare quella ivoriana, anche qui per dare sostanza al nostro impegno in maniera seria e soprattutto concreta perché nei villaggi della foresta nera la vita è veramente povera, addirittura primitiva. Non le nascondo che, in verità, esiste un terzo polo nel quale «Alfa Omega» vorrebbe esternare il suo impegno per le nuove povertà. Posso anticiparle che saremo in Bangla Desh od in India, laddove cioè la povertà è alla sua massima espressione negativa. Siamo ancora all’ipotesi, ma non dispero di arrivarci, sempre con ‘aiuto di tanti amici generosi, chje ci stimano e che ci vogliono bene».Luigi Albertini

 

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